
Competenze digitali: strumento imprescindibile per la vita! Regola numero 1 in rete? Dire sempre la verità!
Da quando da attivista digitale vado in giro a raccontare della mia passione per tutto ciò che la rete e il digitale migliorano nella vita delle persone, mi perseguita imperterrito un grafico. “Sarà ormai vecchio e superato”, direte voi. “No, non cambia, e devo continuare a parlarne”, aggiungo io, è sempre lo stesso da qualche anno e in quel grafico c’è una quart’ultima orribile posizione ed è quella che l’Italia occupa rispetto ai 28 paesi europei, oggi come 3 anni fa.
Quart’ultimi rispetto a cosa?
Siamo degli inguaribili “ignoranti” digitali e la classifica a cui mi riferisco, stilata ogni anno, dalla Commissione Europea e che ha come acronimo DESI (Digital Economic and Society Index) racconta lo “stato di salute” della digitalizzazione dei paesi europei in base ad una serie di parametri considerati per ciascun stato membro dell’Unione.
Ho visto per la prima volta questa classifica nel 2015 e i dati raccontavano un’Italia 25esima su 28 Paesi UE. Non era certamente un’informazione che meritasse di non essere divulgata, proprio perché avevo la netta impressione che esistesse poca consapevolezza di questo fenomeno tutto italiano essendo fuorviante, ad esempio, il guardarci intorno e vedere tutti, o quasi, perennemente ritratti con lo sguardo rivolto verso uno smartphone (quasi 60 milioni di abitanti per 80 milioni di smartphone, che dite c’è qualcosa di strano?).
Passa qualche anno, nel frattempo sono uscite altre classifiche che hanno raccontato un paese più connesso, più fruitore di servizi da mobile e tra i più presenti nei contenitori social; l’Agenzia per l’Italia Digitale ha reso obbligatoria la fatturazione elettronica nei rapporti con le PA, è nato il Sistema Pubblico di Identità Digitale (SPID), il Nodo Unico dei Pagamenti (PagoPA), decollerà l’Anagrafe Unica della Popolazione Residente, abbiamo acquisito una serie di diritti in qualità di cittadini digitali grazie al nuovo CAD … tutta una serie di eventi ci hanno fatto credere insomma ad un’inversione di tendenza rispetto ai brutti voti del 2015. Così, il 3 marzo del 2017 vengono resi noti i dati del nuovo DESI, quelli riferiti al 2016 … e, sorpresa? Siamo ancora 25esimi su 28 Paesi. Faccina triste ;-(
Ma come, non stavamo accelerando????
Raccontando il grafico mi sono sempre sentita come colui che svela ad un bambino che Babbo Natale non esiste! Sempre davanti a me volti increduli e senza parole!
Al suo interno c’è un dato assai preoccupante che dice che gli italiani non usano i servizi digitali, anche quando ce li hanno, che manca ancora una vera cultura del digitale e che c’è una parte consistente del paese che ha ancora troppe difficoltà ad abbracciare le nuove tecnologie non avendo alcuna competenza digitale.
È un fattore culturale e talvolta anche geografico che c’è ed è innegabile. Ed è il problema vero, poiché il ritardo culturale è il più difficile da colmare e si riflette ad esempio, ma non solo, nel basso numero di laureati in materie tecniche e scientifiche.
Gli italiani possiedono più di uno smartphone pro capite, hanno uno o più profili social ma non utilizzano la rete per semplificare la propria vita: non utilizzano i servizi on line della pubblica amministrazione, non l’home-banking, stampano carte d’imbarco e ticket di qualunque tipo, le imprese non fatturano elettronicamente fra di loro e i cittadini utilizzano Spid solo per accedere ai bonus (da insegnanti o 18enni).
Morale, in Italia, circa due terzi della popolazione è considerata “analfabeta funzionale” con competenze digitali non sufficienti per l’esercizio di una piena cittadinanza digitale e per affrontare le sfide dei nuovi lavori.
Le competenze digitali e le business skills più richieste nel mondo del lavoro evolvono con una rapidità sorprendente. Purtroppo, però, circa il 40% dei lavoratori italiani non è in grado di rispondere a queste richieste oppure possiede solo parzialmente le competenze digitali necessarie.
Questo determina non solo un’importante perdita di valore per le imprese, ma anche una notevole diminuzione delle opportunità lavorative per chi è in cerca di occupazione: secondo la Commissione europea entro il 2020 rimarranno vacanti ben 900.000 posti di lavoro a causa di queste mancanze.
E poi, possedere delle competenze digitali, meglio se certificate, equivale oggi non soltanto ad accedere a maggiori opportunità lavorative; sono fondamentali soprattutto per poter analizzare con maggior consapevolezza e spirito critico la mole di informazioni che quotidianamente ci viene “vomitata” (passatemi il termine) addosso.
Quando ai ragazzi nelle scuole chiedo: “Che differenza c’è tra uno che conosce benissimo Facebook e la rete ed uno che conoscendoli altrettanto bene li utilizza consapevolmente? Entrambi li conoscono molto bene ma cosa li differenzia?” Rimangono a pensarci su per qualche istante finchè qualcuno, finalmente, dopo qualche input, alza la mano e dice “Quello consapevole sa quello che fa” “E quindi?” chiedo io “… e quindi sa cosa accade dopo che compie qualunque azione là dentro e per esempio sa che quel post non lo leggeranno solo gli amici ma potenzialmente tutti”. Ci si arriva dopo un po’ di ragionamenti, per gradi, ma ci si arriva e non senza “scontri” sul campo!
Essere in-consapevoli, essere webeti, è un superficiale conoscere uno strumento utilizzandolo senza SAPERE ESATTAMENTE QUELLO CHE SI FA … e, soprattutto, non avendo la giusta percezione di ciò che accade dopo che lo si è fatto!
Così purtroppo è stato (ed è) per la maggior parte di noi che non abbiamo imparato a scuola o in famiglia l’uso delle tecnologie e dei dispositivi connessi alla rete, inconsapevolmente lo abbiamo fatto da soli, senza quel “libretto di istruzioni” che nessuno ci ha mai dato.
Essere consapevoli e non “webeti” ci farebbe leggere con pensiero critico la realtà senza subirla tutte le volte che non è affatto vera ed è un fake.
Essere consapevoli ci fa rendere accorti rispetto a ciò che lasciamo in rete perché sappiamo che un bel giorno ci sarà chi esaminerà la nostra candidatura per un posto di lavoro con sulla scrivania non soltanto il nostro curriculum vitae ma anche la visualizzazione delle nostre bacheche social … e lo scatto di me stordito fuori dalla discoteca di 5 anni fa alla festa di compleanno di mia sorella o un mio like di troppo potrebbe pesare sul mio futuro: parliamo della web reputation che solo chi ha consapevolezza digitale riesce a tenere sotto controllo (tanto per intenderci: il 46% delle aziende in Europa dichiara di tenere in considerazione il nostro modo di essere sui social network).
Ma se ci sono tutti questi pericoli (e non abbiamo parlato qui di crimini connessi all’utilizzo della rete, al cyber bullismo ecc) non sarà meglio starne fuori?
No, perchè poichè consapevolezza è anche e soprattutto consapevolezza del rischio, che non deve frenare ma rendere accorti, devo esserci per occuparmi personalmente della mia «immagine sociale», che io sia uno studente, un manager o una persona delle istituzioni … un cittadino digitale.
Solo chi è consapevole va nella direzione giusta.
Senza competenze digitali che generano consapevolezza non abbiamo chance per sopravvivere in una società iperconnessa nella quale continueremo a non trovare lavoro perché non saremo capaci di esercitare le nuove professioni e potremmo avere sempre più difficoltà nelle relazioni perché in-consapevolmente lasceremo prevalere l’uso smodato delle parole ostili unite alla cattiva informazione che non saremo capaci di filtrare per poter prendere decisioni più giuste che potrebbero cambiare in meglio il nostro futuro.
Per concludere … (e se siete arrivati fin qua grazie), vorrei citarvi le mie “regole della nonna” dalle quali cerco sempre di farmi guidare tutte le volte che comunico in rete.
La prima regola è in realtà un banalissimo e quanto mai importante consiglio che cerco di dare sempre a chiunque e che non smetto mai di ripetere a me stessa e il consiglio è: diciamo la verità! Se tutti ricominciassimo a raccontare soltanto la verità i due terzi dei problemi che attualmente si affrontano in ambito politico ed economico sarebbero risolti e se le bufale non esistessero forse verrebbero prese decisioni migliori e più condivise.
Infine: 1) parlo solo di ciò che so, 2) possibilmente per esperienza diretta, 3) se aggiungo qualcosa alla conversazione, 4) non citando necessariamente qualcuno (basta con i tag selvaggi a tutti i costi!) … 5) e la regola più importante se ciò che voglio comunicare non soddisfa le prime 4: ALTRIMENTI TACCIO E STO ZITTA perché non devo dire per forza qualcosa semplicemente perché nell’era social ho un diritto di parola acquisito e perenne 24 ore su 24 (spesso stare in silenzio è il miglio modo per comunicare qualcosa) essendo consapevole che tutto ciò che scrivo in rete è per sempre e che se ho scritto una cavolata quella non si cancella!